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ISMI E ISTICHE – GLOSSARIO ESTEROFILO br> di Michele Colucci
dic 12, 2014 | Post by: admin
Uno dei peggiori vizi degli italiani è l’esterofilia. Siamo il paese in assoluto più ignorante al mondo nella conoscenza e nell’uso delle lingue straniere, ma ciononostante ci riempiamo la bocca di termini importati, il più delle volte utilizzati impropriamente (in gergo si direbbe in modo più volgare, ma tralasciamo).
E’ molto più esotico fare un break invece di una semplice pausa, più attuale essere “à la page” piuttosto che “alla moda”, più figo dire vintage che non vecchio, nessuno ci degnerebbe d’attenzione se raccontiamo di vacanze in un affittacamere; tutt’altra cosa invece se abbiamo dimorato in un bed and breakfast, e così via.
Tuttavia alcune volte, a considerare il suono cacofonico di alcune traduzioni italiane di termini soprattutto anglofoni, si rimpiange il termine originale, benché straniero. E’ il caso di tutti i sostantivi col suffisso in ismo o in istico.
Non ho mai amato le discoteche ed il gergo del popolo che le frequenta, ma ho sviluppato un’autentica idiosincrasia, ad esempio, per divertentismo (probabile italianizzazione del francese divertissement), termine odioso utilizzato nel gergo discotecaro per indicare un particolare genere musicale che una volta veniva denominato musica commerciale o da aggregazione e che in realtà raccoglie in un grosso calderone tutto il peggio che l’industria musicale ha saputo tirare fuori.
Per meglio intenderci, siamo nel punto della serata in cui l’animatore, o i più burloni della festa, al suono degli intramontabili successi della Raffa nazionale o altre perle analoghe, iniziano a formare il trenino e costringono tutti i partecipanti, anche i più riluttanti, ad aggregarsi a questo mesto rito tribale tipicamente occidentale, a costo delle più cocenti umiliazioni per chi osa rifiutarsi. Sarebbe più semplice parlare di musica brutta o trash, per rimanere in tema di esterofilia, ma divertentismo rende come nessun altro termine l’idea della coercizione a star bene, dell’obbligo di sorridere: altrimenti che cacchio ci sei andato a fare là? Te ne stavi a casa a leggere Joyce senza rompere le scatole a noialtri.
L’altro suffisso da guardare con sospetto è istico/istica, responsabile di nazionalizzazioni dall’effetto drammatico. In ambito culinario (per limitarci ad uno dei generi più in voga al momento) dal suffisso germinano fiori quali banchettistica (derivato dall’inglese banqueting), che ho scoperto essere addirittura materia di studio negli istituti alberghieri. E’ una sottospecie del catering, altro termine anglofono, ma ormai di uso comune da noi, che comprende tutta l’attività che comporta rifornire di cibo, e di tutto il contorno necessario, un posto che normalmente ne è privo. Ormai se il banchetto non è alloggiato in un castello o in una villa che si specchia su un lago non c’è alcun gusto, anche se a sbafare, soprattutto quando è gratis, sono buoni tutti, senza distinzioni di razza, religione, orientamento sessuale o classe sociale: appena i camerieri danno il via si scatena l’istinto ferino che è latente in ognuno di noi.
Fortuna che i nostri linguisti non si sono spinti a cercare di tradurre anche catering, perche altrimenti chissà che perle sarebbero venute fuori: provo ad azzardare, qualcosa del tipo ristorantistica mobile o a domicilio o qualcos’altro di ancor più macchiettistico.
Ma le altre categorie, commerciali e professionali, non sono da meno. I campioni incontrastati dell’uso, e volte anche della creazione di un gergo specialistico sono in assoluto i rappresentanti, gli agenti di commercio: la scontistica è una loro luminosa creazione, la sublimazione del mito del saldo, subito adottata dagli assicuratori, così come la componentistica è ormai assurta nel gergo tecnico dal bricolage alla metalmeccanica, mentre l’arte di comporre le vetrine ha dato vita alla vetrinistica. Ma i pubblicitari non sono da meno: oltre ad inventare slogan ed a creare nuovi modi di dire che si trasformano in veri e propri tormentoni (almeno quelli più riusciti), anche loro rientrano tra gli innovatori del linguaggio, come dimostra la cartellonistica, divenuta una vera e propria scienza della comunicazione.
La morale di questa inutile digressione è tutt’altro che mistica, al massimo potrà essere enigmistica, per tutto il mistero che si cela dietro il significato o, peggio ancora, l’uso distorto di certi vocaboli.