I) 2014-2005
35007 - 22:25 & 61:74 (2005); da Eindhoven, semplice psichedelia demodé ma che merita un ripasso.
AGNES OBEL – Beast (2010). Cantautrice danese (piano e voce) dallo straordinario successo in patria. Immaginabile delicatezza senza i patetismi che avvelenano il genere; buoni arpeggi al piano, che non é solo strumento di accompagnamento.
ALBERTA CROSS – The thief and the heartbreaker (2007). Band inglese dal rock chitarristico sentimentale, con due accordi due, ma bastano.
ALEXANDER TUCKER – Saddest summer (2006). Dal Kent arpeggi di chitarre acustiche che in genere accompagnano il canto: il risultato in questo strumentale però é più brillante.
ALPS – A manha na praia (2008); Onirica psichedelia californiana.
ANDREW BIRD – Two way action (2001) – Skin (2003) – Armchairs (2007) – Oh no (2008) – You woke me up (2009). Polistrumentista di Chicago che oscilla fra la canzone raffinata e brillantemente orchestrata e splendide composizioni cameristiche moderne, in cui si cimenta con il violino in strutture circolari a creare minimalismi ipnotici e voli vertiginosi ed involuti, quasi impossibilitati a staccarsi da terra per raggiungere la dimensione eterea cui aspirano (You woke me up).
ANNA CALVI – No more words (2011). Cantautrice italo-inglese in una canzone ricca di fascino decadente.
ARBOURETUM – Down by the fall line (2009); Ghost (2012). Vera moderna psichedelia da Baltimora. Ghost ha buona linea melodica, piglio rapido e una delle loro classiche derive psichedeliche, ipnotica ma meno monolitica del solito, con antenati fra i Velvet Underground di John Cale; Down by the fall line é invece (splendidamente) dalle parti di Jerry Garcia. Particolarmente apprezzabili nella dimensione live.
ASSEMBLE HEAD IN SUNBURST – End Under Down (2009). Leggera e banale melodia che si impreziosisce però di una iniezione stoner chitarristica.
BESNARD LAKES – And This Is What We Call Progress (2010). I coniugi Lakes dal Canada ed il loro romanticismo elettrico.
BIRDS OF PASSAGE – Fantastic frown (2011). Sigla propria della neozelandese Alicia Merz, melodia sussurrata, magica e favolistica.
BLACK MOUNTAIN – Druganaut (2005). Psichedelia canadese alle prese con un volenteroso ritmo ereditato dai CAN di Do You Right, più un buon esercizio minimalistico delle chitarre.
BLITZEN TRAPPER – Below the hurricane (2010). Country band da Portland, qui felicemente fuori genere con una melodia composita ed un’orchestrazione raffinata.
BODIES OF WATER – One Hand Loves the Other (2011). Da Los Angeles le cascate di note di Terry Riley, di quelle ottenute con la rotazione del polso in “a rainbow in a curved air”, con in più un canto di cui si sarebbe fatto a meno.
BODUF SONG – Oh Celebrate Your Vague Words And Coquettish Sovereignty (2005); Fiery The Angels Fell (2011). Sigla di Matt Sweet da Southampton, a suo agio con voce e chitarra, ma anche quando l’atmosfera si fa pulsante ed elettrica.
BONNIE PRINCE BILLY – Wolf among wolves (2003); My home is the sea (2005). Solo due canzoni per il pigro ma prolifico prince Will Oldham? Si, ma due capolavori che non vengono turbati troppo dallo stile casalingo ed anticommerciale che si ostina a seguire mister Palace (e Palace songs, Palace brothers, W. Oldham appunto, e poi Bonnie Prince Billy ecc, giusto per ridurre il pubblico ai soli affezionati).
Wolf among wolves si limita a chitarra e voce, naturalmente, con un intermezzo che avrebbe potuto essere strumentale, ma Will si accontenta di recitare la parte degli archi con vocalizzi in falsetto: i Pink Floyd di Wish you were here ne avrebbero fatto la loro bandiera. My home is the sea ha uno degli attacchi chitarristici più classici della musica rock; il resto della canzone é conseguente.
BOOKS - An Owl With Knees (2005). Il duo newyorkese si ricorda dai CAN: qui sono quelli meno preziosi di “Unlimited edition” ma arricchiti da sobrie evoluzioni ritmiche minimaliste.
BUILT TO SPILL – Car (1994); I would hurt a fly (1997); The host (2001); Gone (2006).
Dough Martsch dall’Idaho, canzoni psichedeliche memori della pasticceria sixties britannica ma dallo stile chitarristico che oltre che nel Dave Gilmour fra Ummagumma e Athom heart mother (Gone) trova riferimenti nobili negli antenati americani (Randy California degli Spirit).
CARIBOU – Barnow (2005). Daniel Snaith dal Canada rilegge i CAN di Ege bamyasi con grazia e leggerezza e (quasi) la stessa presa emotiva: non un semplice esercizio di stile.
CASTANETS – Song Is Not the Song of the World (2005); Lucky old moon (2009). While Raposa dalla natia California agli spazi aperti dell’Oregon: intimismo e respiro cosmico, elettronica e ballata rurale; fascino assoluto.
CAUSA SUI – Red sun in june (2009). Classica psichedelia chitarristica dalla Danimarca, con tanto di inizio tenue (alla Grateful Dead) e crescendo in distorsione stoner.
CITAY – Careful with that hat (2010); Secret breakfast (2010). Neoclassicismo (…rock) a San Francisco.
CLOUDKICKER - Genesis device (2008); Explore, be curious (2011). Terrorismo sonico e romanticismo minimalista, dall’americano Ben Sharp.
CONNAN MOCKASIN – Forever dolphin love (2011). Il neozalandese Connan esprime una delle proposte più originali ed innovative: sghemba e geometerica, vaga e metronomica, forever dolphin love esprime la summa di una sinfonia insieme patetica ed eroica.
CORAL – Far from the crowd (2005); She sing the mourning (2005). Da Liverpool ritmi che sono un dichiarato omaggio a Jake Liebezeit, ma dei Can non c’é la complessità compositiva, le melodie sorprendenti, né altro.
DAN DEACON – Surprise Stefani (2009). Do do wap su tappeto ritmico ed elettronico minimalista da Long Island.
DARKER MY LOVE – Wake (2006); All the Hurry & wait (2008). Psichedelici californiani che sembrano sempre sul punto di regalare il capolavoro ma rimangono ben al di qua del memorabile.
DATSUNS – Stud here for days (2006). Slide guitar e tradizione dalla Nuova Zelanda.
DEAD WEATHER – You just can’t win (2009); Rocking horse (2009). Mister “Seven nation army” Jack White accompagnato da un buon gruppo: nonostante il materiale sia meno pregevole di quello speso nei White Stripes, la completezza degli arrangiamenti (come già nei Raconteurs) genera rimpianti per gli striminziti 2-3 minuti chitarra-batteria con Meg White: ci siamo persi i nuovi Led Zeppelin…
DEVENDRA BANHART- Now that I know (2005). Riuscita tenue canzone del californiano, che ne imbrocca qualcuna anche con i Vetiver.
(continua)