You are here:
Home »
Glossario »
STATI QUANTICI DEL ROCK (terza ed ultima parte) br> di Nicola Lembo
feb 24, 2015 | Post by: admin
JULIE’S AIRCUT – Sator (2013); da Sassuolo una versione gentile dei Neu!
KASHMIR – She’s made of chalk (2005); spedito, lirico ed onirico rock dalla Danimarca.
LILIUM – One bear whit me (2010); il francese Pascal Humbert si è perso a Denver, dove è supportato da membri di Wovenhand e Sixteen Horsepower: tradizione roots con chitarre indolenti ed elettricità diffusa sullo sfondo.
MAGIC LANTERN – On the dime (2010); psichedelia californiana con intensità Hawkwind.
MANDO DIAO – Added family (2005); splendida canzone in una discografia altrimenti scialba, gli svedesi trovano tono decadente e ritornello antemico, coretto soul e buona produzione.
MARK MCGUIRE – Clouds rolling in (2010); da Cleveland un perfetto seguace dei solo guitar di Manuel Gottsching: nonostante l’evoluzione tecnologica dei 35 anni nel frattempo trascorsi, sembra di sentire ancora il 4 piste del chitarrista degli Ash ra tempel.
MARS VOLTA – Miranda, that ghost just isn’t holy anymore (2005); The widow (2005); Dumb waiters (2006); Vishera eyes (2006); Agadez (2008); Mars volta o la maturità rock agli albori del III millennio. Messicani più gringos ad El Paso,Texas, lasciano il “post-hardcore” del gruppo di origine, gli At the drive in, ricordandosi comunque sempre dell’energia e delle asperità del metal, del suo espressionismo romantico, per abbracciare una visione sonica universale: dal rumorismo di Miranda, i cui fasci sonori stellari sono risolti in un canto lirico di tromba da mariachi ed una canzone da serenata senza speranze, con dispersione cosmica dei rumori finali, ad approcci più tradizionali; con le loro epiche melodie ed i ritmi frenetici sembrano non trascurare alcun elemento dello scibile sonoro.
MELVINS – The ballad of Dwight Frye (1992); Going blind (1993); Hooch (1993); Lizzy (1993);
At the stake (2000); Let it all be (2000);The anti-vermin seed (2002); Dog island (2008); a cavallo fra i due secoli, li rappresentano entrambi con la loro versione della maturità del metal: dai temi Sabbathiani (Going blind) alla maturità ferocemente minimalista, cui non è estranea la lezione ossessiva di Big Black-Steve Albini (esemplare The anti-vermin seed, che merita un ascolto attento: mai il rock è stato più lontano dalla musica da sottofondo ed intrattenimento), passando per mille episodi anche melodicamente riusciti; le strutture armoniche del trio di Washington non si limitano ad accompagnare il classico riff di chitarra ma sono la palestra per una meditata ricerca timbrica,per una a volte estenuante ma esaltante progressione minimalista.
MEN WHITOUT PANTS – And the girls go (2009); allegro e tirato riff chitarristico per il garage rock del batterista di Jon Spencer.
MERCURY REV – Chasing a bee (1991); Frittering (1991); Boys peel out 1993); The funny bird (1998); The dark is rising (2001); Chains (2001); Lincoln’s eyes (2001); Black forest (lorelei) (2005); Diamonds (2005); Secret for a song (2005); primi due album da legittimi eredi dei migliori Pink Floyd, quelli ancora illuminati dal genio di Syd Barret, ma senza alcuna tentazione imitativa: i lavori 91-93 sono psichedelia onirica, rumorosa, chitarre, elettronica e flauto a fondersi in torrenziali quadretti psichedelici che devono molto alla scuola di Wayne Coyne (Flaming Lips) a cui Fridmann, anche produttore, e Donahue si sono formati.
L’avventura psichedelica dura due album, poi il cantante David Baker lascia e Jonathan Donahue approfitta della timbrica vocale vicina a Neil Young per impostare il canto alla maniera del canadese ma con arrangiamenti orchestrali lussureggianti e temi epici che consentiranno al gruppo di Buffalo di esprimere i propri capolavori.
MICK HARVEY – Come on spring (2005); in libera uscita dai Bad Seeds, l’australiano sodale di Nick Cave mantiene la leggerezza ed effervescenza ritmica dei Bad Seeds maturi.
MOON DUO – Ripples (2009); Sparks (2012); sui continuum di Loop ed i ritmi freddi di Spacemen 3, ma a differenza degli inglesi il duo californiano ha un migliore approccio strumentale figlio della psichedelia chitarristica west coast.
MUGGS – Underway (2005); da Detroit ritmo arioso e chitarre più’ liriche e psichedeliche di quelle cui ci ha abituati la MotorCity.
MI AMI – Dreamers (2010); chitarre srotolate su un tappeto percussivo che sarebbe piaciuto a Santana; è l’unica analogia però con questi poliedrici californiani.
MY MORNING JACKET – Off the record (2005); una delle loro solite sciape canzoncine, ma i 5 del Kentucky dallaseconda metà di questa canzone liberano una ispirata vena psichedelica,un po’ come i Rolling Stones in “2000 light years from home”.
NASHVILLE PUSSY – Hate and whiskey (2005); le fighe di Nashville; fiumi di alcool, caotici locali fumosi, tacchi di stivali che portano il tempo sulle tavole del palco: che altro? Gli AC/DC più bluesy ed incazzati.
NERVOUS CABARET – Alone together (2006); canto strascicato da crooner ubriaco, chitarre e fiati solidali in depressione alcoolica, un lirismo sincero per una canzone eccentrica da New York.
NINE INCH NAILS – Even deeper (1999); Where is everybody (1999); The wretched (1999); Sunspots (2005); Trent Reznor da Cleveland, fra i più cattivi del lotto: atmosfere dub, campionamenti, elettronica, ritmi tesi e meditati, improvvise e profonde rasoiate di chitarra (cfr. la potenza pura di “The Wretched”).
ONEIDA – Spirits (2005); elettronica e psichedelia a Brooklin, il più delle volte velleitaria e superficiale. “Spirits” invece mantiene la sarabanda ritmica ed il disordine strumentale in un percorso più organico.
OXBOW – Insane asylum (2006); dove l’insania esprime più ragione. Eugene Robinson da San Francisco, muscoloso omone dal canto sofferto fino al falsetto (più spiazzante di Bob Hite), violenza blues su due toni di batteria da intrattenimento drammatico, orchestrazione rumorista ben meditata e tutt’altro che casuale per un tornado di violenza.
PAST LIVES – Paralizer (2010); Seattle, ritmo da Neu! E martellamento del basso come piaceva ai Joy Division.
PATRICK WATSON – Daydreamer (2006); da Montreal un quadretto naif nella lingua già usata dai Pram. Un piano romantico con spigoli da film horror, un vortice delicato di canto, chitarre hawaiane, banjo, batteria delicata e pulsante; un sogno pronto a sconfinare in un incubo di Tim Burton.
PETRA JEAN PHILLIPSON - One day (2005); tenue canzone nelle corde di Joni Mitchell in quel di Brighton.
PINBACK – Hurley (2000); B (2003); Byzantine (2006); arriva a San Diego l’onda lunga degli Slint negli arpeggi di chitarra da cameretta ma con più brio ritmico e pathos rispetto all’ampia concorrenza.
PONTIAK – How tall are you (2006); Aestival (2009); Seminal shining (2009); The north coast (2012); fra Virginia e Baltimora, le stesse strutture armoniche dilatate e gli stessi tempi pazienti degli Arbouretum, le stesse pennellate di chitarra per una psichedelia moderna che i due gruppi stanno costruendo insieme (anche con la collaborazione nello split “Kale”), i Pontiak con più dinamica nell’intensità sonora e meno riferimenti “storici”.
PROJECT PITCHFORK – Odyssee (2003); The touch (2005); moderna elettronica da Amburgo, più vicina alla dance che ai decenni “cosmici” (Odyssee), ma indulgono anche in cattiverie chitarristiche ‘a la Nine Inch Nails (i toni anthemici di The touch).
RACONTEURS – Level (2006); Steady as she goes (2006); far rivivere i Led Zeppelin senza imitarli, nè nel canto di Robert Plant nè nella chitarra di Jimmy Page, ma piuttosto compenetrandone l’essenza armonica ed il respiro seventies (Level) ed insieme ricordarsi di White Stripes: signori, Jack White.
RADAR BROS – Stay (1996); The river shade (2005); la Los Angeles sentimentale di Jim Putnam: più cura melodica e addio al fuzz noise chitarristico del precedente gruppo dei Medicine.
RADIO MOSCOW – 250 miles; psichedelia hendrixiana dallo Iowa (nelle attitudini, certo non nel virtuosismo chitarristico).
RAKES – We are animals (2005); riff chitarristico irresistibile per una canzoncina scialba a la Clash.
RAMONA FALLS - The darkest day (2009); sofisticata orchestrazione per la psichedelia fantasiosa dedicata alle cascate dell’Oregon.
RAY LA MONTAGNE - Lavender (2014); nostalgica psichedelia dal sapore più che americano dal chitarrista del New Hampshire.
RPWL – Sleep (2005); tablas indiane, ritmo in levare e rasoiata di chitarra compensano la melodia debole del gruppo tedesco, che non si è mai ripetuto.
SECRET MACHINES – What used to be french (2002); Daddy’s in the doldrums (2006); arpeggi tenui di chitarra aggrappati ad una batteria elementare ed a volte invadente; poi il ritmo riprende quello di Meddle (Pink Floyd) e le chitarre danno segno di risveglio. Texani acidi ma ordinati.
SIX ORGANS OF ADMITTANCE – Close to the sky (2012); spesse coloriture di chitarra di Ben Chasny, anche nei Comets On Fire.
STEVE GUNN – New decline (2013); nella tradizione chitarristica americana di John Fahey e Robbie Basho ma senza rinunciare alla ritmica ed a puntate alla chitarra elettrica.
STROKES - Juice box (2005); riff ben riuscito fra le poche cose da ricordare dei Newyorkesi già salutati come ennesima next big thing che non ha avuto sviluppi.
TINARIWEN – Toumast tincha (2014); sonorità’ desertiche, ma non siamo in Texas, piuttosto nel Sahara del Mali; fra chitarre elettriche e strumenti tradizionali.
VOICE OF THE SEVEN THUNDER – Kommune (2010); The bourning mountain (2010); inglesi che si ricordano degli Amon Duul II, in particolare di quelli concreti ed elettrici del “Live in London”, e degli Hawkwind.
WHITE DENIM – Let’s talk about it (2008); riff sventagliato di chitarra acida ed incespicamenti minimalistici; da Austin-Texas.
WOODEN SHJIPS - Motorbike (2009); psichedelia come la praticavano gli Opal (altri californiani) 20 anni prima: insomma… da Ripley Johnson, anche nei Moon Duo.
WOODS - Cascade (2012); chitarre rotolanti, disordinate suggestioni psichedeliche ancora dalla California.
XX – Cristalised (2009); da Londra melodia soffusa e chitarre che alternano modestia e voglia di svegliarsi.
YAMANTAKA – Oak of Guernica (2001); ancora un gruppo aperto dal Canada (dopo Godspeed you! black emperor, Silver mt. zion) ed ancora con le stesse atmosfere dilatate, oniriche e rumorose.