apr 18, 2015 | Post by: admin Commenti disabilitati

SORA SARA di Giuliano Iovane

 

Io non ci volevo andare, perché poi lo so come vanno a finì ‘ste cose.  Ma mia moglie: io voglio andare in un ristorante con le stelle, di quelli con tre stelle.Amo’, ma ogni sabato, da sette anni, andiamo alla Trattoria de Sora Sara, e mo’?

E mo’ me so stancata. E’ il nostro anniversario di matrimonio, potemo anda’ pe’ na volta a magna’ come se deve?

Gigetto, nostro figlio, era d’accordo con la madre. “Sì, sì, andiamo nel ristorante con le stelle..sì..sì.”

A Gigè, tu se no la smetti te le faccio vede’ le stelle con uno sganassone…a nove anni vuole andare in un ristorante stellato…e a venti che te dobbiamo porta’ su  Marte?

Dopo le insistenze di mia moglie, mi feci convincere, ma le dissi pure: noi semo contadini, la’ ce costerà quanto un raccolto, pensaci. “Troppo tardi, ho già prenotato”.

A quel punto, niente. Pensai che festeggiare in uno di quei ristoranti con le stelle, che più stelle c’ha e più paghi, forse ce lo meritavamo io e mia moglie. Presi in un cassetto i soldi che avevo ricavato dalla vendita del prodotto di uno dei nostri terreni coltivato a cipolle e decisi di dare un calcio all’avarizia.

E poi mia moglie guardava tutti i programmi di cucina in TV e quindi conosceva tutti i più stellati chef italiani e, almeno per una volta, era meglio che ne vedesse uno dal vivo.

Ci improfumammo per bene e uscimmo alle sette e, dopo aver parcheggiato l’auto, a piedi, ci avviammo verso lo stellato.

Passammo davanti alla Trattoria “Sora Sara”, dove te potevi magna’ i migliori rigatoni al sugo de coda alla vaccinara, e dove noi andavamo spesso; ma proprio da qualche mese aveva aperto, accanto a Sora Sara, proprio un Tre Stelle, e mia moglie là aveva prenotato tre posti per quella sera.

A proposito de Sora Sara, i primi tempi mi sbagliavo sempre: Sara Sora, Sora Sera, me sembrava il nome di qualche atollo nell’Oceano pacifico, come : Tonga Tongo, Bora Bora, Bunga Bunga, no.. questo non è un atollo. Insomma, Sora Sara me riusciva male.

Dunque, arrivammo di fronte al ristorante ed eravamo pronti a godere della migliore cucina che ce potesse essere in giro.

Quando passammo davanti alla Sora Sara, mi dispiacque vedere il locale vuoto: nun c’era manco un cliente. E già, pensai, stanno tutti a magna’ dallo stellato. Pazienza, dissi, migliaia di mucche avevano perso la coda per colpa de Sora Sara e, per un po’, sarebbero state tranquille le povere bestie.

Dunque, entrammo nel ristorante stellato con un po’ di timore, anche perché avevo notato che c’era una specie de soldato, forse addirittura un generale, fermo accanto ad una colonna, immobile come un granatiere. Varcammo la soglia e quello era rimasto ancora immobile. Leggemmo sui tavoli quale era quello assegnato a noi quando, improvvisamente, il generale ci venne alle spalle.

“I signori Fioriacci? Immagino”.

Sussultai, perché nun m’aspettavo un attacco alle spalle, poi me calmai e dissi, in perfetto italiano: sì, semo proprio noi.  “Accomodatevi, prego”.

Il generale aveva preso la sedia di mi’ moglie per farla accomodare e quella scriteriata gliela tolse di mano; allora quello capì e se ne andò, per tornare dopo qualche minuto con un carello con tre piatti.

 “E’ il benvenuto, signori: idea d’oeuf con cappero di Pantelleria e filo d’evo”.

Nun avevamo capito niente, comunque si se magnava andava pure bene. Il generale ci diede un piatto a testa con un rondella d’ovo sodo, un cappero al centro e del liquido giallo-verdastro intorno. Buon appetito, signori.

Quanno restammo soli ci guardammo in faccia.

“Cos’è?”  Disse mi’ moglie.

“E nun ‘o vedi. E’ un pezzettino d’ovo con un cappero al centro; mo’ nun ce famo riconosce; ha detto che è n’idea, n’assaggio, per vede’ si ce piace”.

“Papà, papà, io voglio le fettuccine al sugo”.

“E smettila, venimo in un posto de lusso pe’ magna’ le fettuccine al sugo! Prima volevi il ristorante con le stelle e mo’ ‘e fettuccine al sugo. Qua la parola fettuccine è come ‘na parolaccia. Abbi pazienza, che mo’ ce portano da magna’”.

Ma il bambino c’aveva le sue ragioni. Pesava, a nove anni, già 65 chili, e lui un piatto di fettuccine da 250 grammi te lo disintegrava. Tu stai arrotolando ancora il primo boccone, che lui già ha finito il suo piatto e ti guarda implorante: papà, se t’avanza un po’ de pasta… Io me ne faccio avanza’ sempre, povero figlio.

Intanto, facemmo un boccone dell’ovo, che manco mi sembrava fresco e, dopo dieci minuti, venne n’altro generale con una scodella al collo.

“Posso consigliarvi un Castelbò del 1976, che ben si sposa con la sapidità del cappero, la dolcezza dell’uovo della Virginia e con i grassi dell’evo?”

Guardi, noi abbiamo finito da ‘na mezz’ora quell’idea, porti pure ‘sto vino, vuol dire che quando ci portano l’ova intere le famo sposa’ cor vino”.

Il secondo generale portò la bottiglia di Castelbò e l’aprì sapientemente, ne versò un goccio nella sua scodella e lo bevve. Dopo circa 20 minuti di assaggio, di risucchi, di movimenti delle labbra, di scuotimento di testa per ossigenare il vino in bocca, m’ero innervosito: e inghiottisci, no?

Quello, infine, espresse il suo lapidario giudizio: bon. Venti minuti per dire: bon.

Versò prima un po’ di vino a mia moglie, che era rimasta immobile. Mo’ questo s’incazza se mi’ moglie non assaggia. Presi io il bicchiere di mia  moglie e assaggiai e dissi subito: “bon”.

“Voglio la coca cola, papà, voglio la coca cola”.

E smettila, la coca cola qua dentro! Il generale con la scodella lanciò uno sguardo alla mia creatura che a momenti lo fulminava e disse: le porto la carta dell’acqua, signore. Arrivò subito con un volume de ‘na trentina di pagine con i nomi di tante acque. E mo’, dissi? Non potevo far finta di non capire niente e ordinai una bottiglia di acqua norvegese dei fiordi del nord.  Mio figlio ne bevve avidamente una metà e io manco sapevo quanto sarebbe costata quella prima metà.  “A France’, sarà stato n’ovo de ‘na contadina come noi, l’ovo de sta signora Virginia”.

“Ma, ma quanto sei ignorante, sarà ‘na signora straniera, seh, mo qua te davano l’ovi del Lazio, te davano”.

Avevo mentito sul vino, sapeva de tappo. E certo che deve sape’ de tappo un vino de quarant’anni! Non dissi nulla.

Arrivò il primo generale: “posso consigliare, come primo piatto un’idea di ciempon de vert surf doc et erbage avec evò sur la fert de la cost”.

Mannaggia alle lingue, pensai.

“Scusi, je dissi, può tradurre per mia moglie e per il bambino”.

Quello quasi incazzato, rispose: “pasta al pesto con filo d’evo”.

“Sì, sì, ce ne porti tre, trepiatti”.

“Vogliono scegliere anche il secondo, io consiglierei un…”

“Senta, je dissi, traduca direttamente”.

“Bene:  petto di piccione in crosta di parmigiano  al tarfufo bianco di Alba”.

Per dessert scegliemmo una sinfonia di dolci. Stava arrivando il primo e, povero generale, spingeva a fatica il carello; c’erano tre piatti di una decina de metri quadrati ognuno, più grandi della cameretta de nostro figlio e, allora, dissi a mia moglie: o vedi quanto so pesanti, mo’ sì che se magna.

Quello posò il primo piatto davanti a mia moglie, e meno male che i tavoli erano grossi, altrimenti dove li avrebbe messi gli altri? Poi diede anche a me e a mio figlio i nostri. L’enorme superficie del piatto aveva una macchia verde al centro.

“E ‘a pasta?” Domandai al generale.

“Signore è lì, si tratta di un’idea di pasta al pesto, rivisitata, con filo d’evo”.

“Ah”, dissi a mi’ moglie. “Mo’ ho capito, loro ci danno le idee per farcele assaggiare, poi se noi diciamo di sì, ce portano il piatto vero di pasta, e c’è pure l’evo, che non ho capito cos’è, quello me pare che ce lo mettono sempre. Beh, anima e coraggio, assaggiamo”.

Un urlo squarciò il silenzio della sala, era mio figlio.

“Papà, papà, ho trovato uno spaghetto”.

Con la forchetta, il regazzino era riuscito a tirare fuori l’unico spaghetto che c’era nella macchia verde; devo dire che era abbastanza lungo, perché mio figlio dovette alzarsi, tra gli sguardi di tutti, per poterlo estrarre.

Improvvisamente il nostro tavolo fu circondato dai clienti del ristorante che avevano ordinato lo stesso piatto: tutti a domandare a mio figlio come aveva fatto a trova’ lo spaghetto.

Io lanciai un’occhiataccia al regazzino: “ce lo devi di’ a noi come hai fatto, non agli altri”.

Dopo qualche minuto, fortunatamente, anche io e mia moglie trovammo il nostro. Mangiammo la macchia verde e lo spaghetto e il generale venne subito a ritirare i piatti.

“E’ stato di vostro gradimento il primo?”

“Sì, il primo spaghetto era bono, dica al cuoco che può impiattare per tre”.

“Lei è molto spiritoso, signore, molto”.

E che vor di’? Mo’ c’hai dato l’idea, ce vuoi da’ il resto della pasta, pensai. Arrivò, invece, il secondo. Altri piatti enormi, ma tanto enormi che non vedevamo il petto di piccione. Ma non fu difficile, alla fine, trovarlo; sollevammo ‘na crostina de formaggio che puzzava de piedi e, sotto sotto, ma proprio sotto sotto, c’era un pezzetto di carne.

Chiamai il generale: “dove sta la carne?”

E lui: “ma signore, è un’idea di petto di piccione irrorato con un filo d’evo”.

Io non sapevo che era st’evo, l’ho detto, ma da come parlava il generale quando si riferiva all’evo, doveva essere ‘na cosa costosa. “Ah”, dissi a mi’ moglie, “mo’ è davvero tutto chiaro. Qua te fanno assaggia’ prima tutto, primo, secondo, dolce, insomma ti danno l’idea per la cena. Loro dicono: io ho ‘st’idea, vedi un po’che ne pensi tu e se è tutto di  gradimento, te fanno da magna’”.

“Speriamo”, disse mi’ moglie.

“E non dispera’, e nun te cruccia’ che è così. E poi, chi ha deciso di venire qua? Comunque abbi fede, prima o poi ce faranno da magna’”.  Finimmo in otto secondi la carne e il generale venne a riprendersi i piatti sporchi, se fa per dire, e tornò con tre piatti di forma ovale con tre puntini di crema sulla superficie.

Capii subito che quella era solo un’ idea di dessert e non dissi nulla. M’ero fatto furbo e quando ebbimo finito, chiamai il generale. “Dunque, dica allo chef che è tutto a posto, ah, il filo d’evo sul dolce era proprio bono”.

“Ma nel dessert non c’era l’evo, signore”.

Guardai il generale e gli dissi: “possiamo passare dalle idee ai fatti: ci portate da mangiare?”

“Lei è molto spiritoso, molto, signore” disse di nuovo il generale.

Ad un certo punto entrò in sala un signore e tutti applaudirono. “Caspita”, disse mia moglie, “è lo chef di questo ristorante”.

E io: “dov’era? Allora non ha cucinato lui? Per questo ce hanno dato solo le idee. Ma mo’ che è arrivato sicuramente se magna”.

Mia moglie: “quello è stato in televisione, stasera c’era la trasmissione che conduce lui sulla Rai”.

“Eh, ho capito, ma mo’ cucinerà sicuramente per tutti; non vedi gli altri, pure gli altri so’ affamati”.

Dopo dieci minuti, invece, il generale mi porse ‘na specie de quaderno di cuoio chiuso, dar quale usciva ‘na sorta de fattura: aprii e notai che quello era il conto per le idee che avevamo mangiato. L’ho sempre pensato: le idee costano e a me costarono circa 700 euro. Solo l’acqua della Norvegia costava 40 Euro per 50 cc.

Nun me feci veni’ l’infarto perché c’avevo ancora ‘na creatura da crescere. Avrei strozzato volentieri mia moglie, lei e le sue manie per i programmi di cucina degli chef stellati.

Dopo aver pagato, sudando sangue, non ce la feci più e dissi al generale, in perfetto italiano: “senta, ma era necessario spreca’ tutto questo tempo? Bastava che scrivevate sul menù: IDEE, due punti: qua te potevi magna’ le idee di questo, questo questo e quell’altro. Uno sceglie le idee e voi gli portate direttamente il conto”.

“Lei è spiritoso, molto spiritoso, signore”.

Ma quale spiritoso, io sono affamato e incazzato, sono.

Uscimmo senza lasciare mancia, ce mancherebbe. Passammo davanti alla trattoria di Sora Sara, piena zeppa fino all’inverosimile e c’erano tutti quelli che avevano mangiato dallo stellato, li avevo riconosciuti. Sora Sara me venne incontro: “e tu non entri? Tutti quelli che vanno a mangiare là dentro, poi vengono qua pe’ magna’ pe’ davero, da quanno ha aperto lo stellato faccio affari d’oro”.

“Sora Sara, me so’ rimasti quaranta Euro, che posso fa’?”

“Da me con quaranta Euro magni tu, tua moglie, tuo figlio e altre due persone: rigatoni al sugo di coda alla vaccinara? Sì, dissi, per tre, anzi per cinque”.

“E dove sono gli altri due?” Disse Sora Sara.

“So’ io, gli altri due so’ io. Sora Sara, mi dite che cos’è l’evo?”

“E’ olio d’oliva extravergine”.

“Olio?! Alimorta’…. E pensa’ che io che so’ produttore d’olio d’oliva, di quello bono; me ce facevo la doccia co’ l’evo. Andiamo a mangiare”, dissi a mia moglie e a mio figlio.

Avevo  le lacrime agli occhi per quelle idee che m’erano costate l’intero raccolto di cipolle, ma non piangevo per colpa delle cipolle.