“ROVIN’ – Immagini rubate al caso” Mostra fotografica di Mario Carrozzino. Dicembre 2015, Lucera, Biblioteca Comunale – ex convento di San Pasquale
Si è tenuta, nello spazio espositivo della nuova Biblioteca Comunale – ex convento di S. Pasquale, la mostra fotografica “Rovin’ – Immagini rubate al caso” di Mario Carrozzino. Una mostra bilingue: tutti i titoli delle foto sono in inglese, con traduzione italiana; e questo è già un bel segno di modernità. Il titolo Rovin’ che sta per ‘girovagando’ (dal gerundio roving), ma che per assonanza ci rimanda al nostro ‘rovistando’, nell’uno o nell’altro caso – fatta salva l’intenzione dell’autore – ci riporta ad un ‘guardare’ o all’ ‘andar frugando’.
Cosa? Qualunque cosa abbia in sé il potere di condurre oltre l’immagine o, per essa, da qualche parte. Paesaggi nordici e cornamuse, terre simili alla superficie lunare, volti o geometrie, e altri incastri tra uomo e natura, ritratti sul filo di un equilibrio sottile. Spesso anche cose di nessun conto, fermate in uno scatto; perché ciò che resta è l’incontro.
E’ per questo che l’autore non sembra mai pago di parlarti, ora dell’una ora dell’altra foto: e non per dirti cosa un’icona racchiuda, che è fatto di per sé comprensibile per il tratto naturalistico generale ed il bianco e nero molto lineare, bensì per darti anche solo l’idea di ‘dove’ essa lo abbia portato.
Cosicché, in questo percorso di immagini solo apparentemente labirintico – suggestiva l’installazione che rende il percorso arrotato, ma nello stesso tempo arioso e geometrico – ti accorgi di aver camminato anche tu assieme a lui, e che in fondo la terra che calpesti è la stessa che si estende alle più vaste latitudini; solo più rarefatta l’aria, mutati i costumi, cambiata la tabella di marcia come in un rovescio del tempo. Per questo il più delle volte non ti accorgi della cronologia, a meno di non leggerla nella sottostante didascalia; e anche quando compare uno scatto più recente fra gli altri, ad esempio quello che ritrae il paesaggio dauno, esso ben si accomuna alle foto degli scenari nordici risalenti a viaggi di parecchi anni addietro.
E’ natura, questa, che resiste all’incuria del tempo (penso ai due scatti realizzati in Francia: quello dove un campo di girasoli si affaccia sui fumi di una centrale atomica, e l’altro dove, in uno scorcio di paesaggio apparentemente bucolico, si staglia la cupola di vetro di un museo delle scienze, a mo’ di un’astronave o di un’incombente grande luna minacciosa, con – nell’angolo opposto – un albero solitario a fare da guardia…).
E’ natura che racconta la sua storia di radici conficcate nel terreno, e che anche qualora estirpate – come nella bella foto che ritrae il tronco ormai divelto della quercia di Santa Justa – campeggiano gigantesche in primo piano, a memoria delle cose che furono grandi, perché testimoni.
Come testimone è l’occhio esperto di Mario Carrozzino, che anche allora ha voluto esserci, a camminare a fianco a un albero, per coglierne gli ultimi afflati che – e maggiormente nella sua foto – ancora sanno di vita.
Fotografie che parlano un linguaggio bello e talvolta desueto, di gente dal volto umano che vive, semplicemente: che cammina o fa la siesta in un campo, danza in un teatro o suona per le strade, lavora o conversa o, altrimenti, si svaga. Gente e luoghi che l’autore ha incontrato vivamente nello sguardo (bellissimo quello del clochard, presente in due scatti) e che qui, in questa mostra, ha voluto riportare, come a dirci solamente: ‘Confesso che ho vissuto…’. E non è poco.