feb 10, 2016 | Post by: admin Commenti disabilitati

ACCIDENTE AL PRONTO SOCCORSO di Nicola Lembo

 

Quello che cattura la mia attenzione é la rotazione delle spalle; mi sorprende più ancora del gesto di colpire con un pugno, mi affascina, quasi presagissi come la perfezione dell’atto preannunci la tragedia: infatti tutto l’insieme fluido del movimento sa di rappresentazione artistica, nonostante il gesto abbia la naturalezza del moto istintivo.
Il braccio scatta in avanti, stendendosi armoniosamente dalla iniziale posizione flessa a sospingere il pugno ben serrato ma a scaricare sul punto dell’impatto tutto il peso del corpo sono la rotazione delle spalle che accompagna l’ampio ma rapido gancio destro ed in più lo spostamento brusco in avanti di tutto il tronco: sulla faccia di questo povero stronzo arriva un treno di 200 chili…
Perfetto! Ma è un genere di cosa che se riesce troppo bene fa danno.
E comunque, devo chiedere al dottore se alle spalle ha della pratica atletica, nel campo…e devo evitare di continuare a rendere così manifesta l’antipatia che mi ispira.

Tutto nasce dall’arcaico concetto classista secondo cui ad una professione qualificata corrisponde una determinata categoria sociale e che ne consegua uno stato molle di educazione e di moderazione nei gesti e nei comportamenti: errore, grave errore, sottovalutare il titolato, dovrà convenirne l’idiota che giace esanime al suolo…quando si deciderà a rinvenire.

Pronto soccorso, sera tardi, fra infermieri e medico siamo quasi tutti da un pezzo fuori orario; dovremmo stare a casa già da un po’ ma è mancato il cambio.
Non è tagliando il personale che salvi la spesa sanitaria, è nei piani dell’amministrazione che devi frugare, ma la nomina degli amministratori è appannaggio della politica, il controllo è pure pascolo della politica, quindi…
Quindi, invece di cenare a casa, ci siamo avvalsi dell’abilità culinaria dell’infermiere Vincenzo che sul fornello del laboratorio ci ha preparato degli appetibili rigatoni ai formaggi: cinque minuti di pausa, meritati, prima di reimmergerci in ferite lacero-contuse, infarti ormai già consegnati alla storia personale del miocardio, disinserimento di quanto di più folle la gente riesca ad infilarsi nel retto (categoria di intervento molto più frequente di quanto si possa immaginare).
L’odore del gorgonzola deve essere filtrato nella sala d’aspetto, ma non è per fame che il rozzo scimmione spalanca la porta.

- “AHHH…ECCO! Se so’ ‘mboscati, sti stronzi, e noi de fora ad aspettà!”
- “Signore, esca! Fra cinque minuti riprenderemo le visite: lei non è in codice di emergenza e neanche gli altri che aspettano; si accomodi” l’infermiera Anna prova secca ma cortese ad arginare il bruto.
- “Cinque minuti un par de palle! Voi dovete da magnà a casa vostra, li mortacci vostri, qua dovete da lavorà!”
Il dottore rumina in silenzio i suoi maccheroni studiando il bruto da sotto in su, nonostante la sua mole bovina, visto che si appoggia alla scrivania… e di bovino ha anche lo sguardo, quella fissità che più di ogni altra cosa me lo rende antipatico, quell’espressività da “mucca che osserva un treno”, come si usa dire, che io immagino come un’espressione a metà fra una curiosità pigra ed una indifferenza cosmica.

Il dottore quindi fagocita un’abbondante forchettata appresso all’altra, con movimento masticatorio sempre più rapido, fino alla convulsione dell’ultimo boccone, che frenetico percorre in modo visibile la gola, poi parte… e non ci mette molto: si compie il mirabile gesto atletico di cui sopra ed è tutto finito…soprattutto per il paziente.
Già, perché’ hai voglia a massaggio cardiaco, il povero stronzo non si riprende più: trauma cranico ed exit.

Siamo in quattro qua dentro, nel silenzio assoluto, giacché nessuno sa come uscirne.

Omicidio colposo, non ci sono santi: sospensione, forse radiazione (qui li dovremmo curare, i pazienti, non stenderli), procedimento penale.
Mi sento un po’ in colpa per quello che è successo sotto i miei occhi, per non averlo evitato. Credo di dover fare qualcosa, ed allora ricorro alla mia tattica preferita, quella dello struzzo; serve a poco però che la nasconda solo io, la testa: serve una camionata di sabbia per evitare che la puzza traspaia.

Per cominciare, bisogna sbrigarsi:
- “Enzo, prendilo per i piedi. Portiamolo in bagno. Adesso ascoltatemi bene: l’idiota ha due contusioni, una sotto lo zigomo per il pugno, l’altra sicuramente sulla nuca, dove ha sbattuto sul pavimento. Allora, tenetelo per le spalle, così, con la faccia vicina al bordo del lavandino…”

SBAMMM!!!

- “VITO!!! Ma cosa…per la madonna…”
- “Diodiodiodio…ma cosa state facendo…”
- “Ecco, adesso sulla ceramica è rimasta almeno una traccia di sudore, la forma del lavandino stampata in faccia…bene, adesso mettiamolo sul pavimento, in una posizione compatibile con la caduta…”

STUUNFFF!!!

- “Ma è mostruoso…”
- “Finire in galera per questo stronzo, è mostruoso…che ne dici, dottore?”
Silenzio.

Pallido, svuotato, difficilmente il povero omicida avrebbe immaginato un tale effetto per i suoi istinti.
- “Adesso abbiamo una traccia anche sul pavimento… io rimango in bagno e chiudo dall’interno; Enzo, tu esci dal retro e vai sul piazzale, cerca di non farti vedere. Io mi affaccio dal finestrino, e quando mi dai il via libera scavalco ed esco. Ah, qualcuno ha da pisciare? No? Ci penso io.
- “Ma cosa…”
- “E’ andato al bagno a pisciare, no? Nessuno farà prelievi dal cesso, non vi preoccupate.
L’ultima cosa: chiaro che di questo non dovremmo parlare, con nessuno, neanche a casa…ma vi conosco, figurati… almeno, evitate di dirlo al telefono; se poi uno di noi parla, gli altri devono dare la stessa risposta, del tipo:
- “Cosa? Dice che è successo questo? Ah, non saprei, io in quel momento ero uscito”; la macchina in doppia fila, il telefono…fate voi.
- “Già, così risulta che eravamo usciti tutti, che non c’era nessuno…non è credibile!”
- “E infatti non ci crederebbe nessuno, ma nessuno sarebbe imputabile. Una sola accusa, nessuna conferma: e ci metteremo poco, poi, ad accennare a motivi di malanimo, ad imbastire una bella querela per calunnia: se vi conviene…”
- “E se a parlare sono in due?”
- “Se a parlare sono in due siamo fregati in quattro”.
Una rapida occhiata allo scimmione allungato sul pavimento del bagno; nessuno si risparmia un ultimo brivido, poi escono e chiudo a chiave la porta.

Quando rientro nell’ambulatorio c’è già il paziente successivo, il nostro prezioso testimone (e già, sono l’unico che potrà dire, testimone alla mano, “io non c’ero”…); non mi sembrano molto calmi, meglio affrettare i tempi:
- “Lo spaccone è ancora in bagno? Ci è annegato? …Si fosse sentito male?”
Comincio a battere sulla porta:
- “Eilà, di casa, fatto? Guarda che ti faccio pagare la tassa sulla fognatura! Vabbè che già paghi quella da stronzo ambulante…”
- “Dottore, che dice, forziamo la porta?”
Brava, Anna, che non mi lascia da solo a fare il teatrino.

Che dire: medico salva, medico uccide! Ma il saldo del giorno rimane positivo e almeno il dottore ci ha lasciato finire la pasta, prima di fare il matto.

Sono ancora in tanti, là fuori, a vociare e coprire le nostre fregnacce; ci sarà da fare mattina.