Che strano il mio lavoro in Pronto Soccorso. Lunghe e faticose ore passate a cercare di risolvere problemi di tanta gente o anche solo in un’attesa, ricca di tensione per quello che può arrivarti e poi, improvvisamente, l’episodio che ti fa sorridere o ti fa ridere a crepapelle o ti costringe a soffocare una grassa risata, perché non puoi sbatterla in faccia al malcapitato paziente.
Il primo episodio curioso che mi viene in mente risale a diversi anni fa quando, in un momento di tranquillità, stazionavo con un infermiere davanti all’ingresso della nostra unità parlando del più e del meno. Un signore, piuttosto agitato e frettoloso, con l’aria di chi non sa da che parte andare, mi chiede: “dotto’, dove si va in Astrologia?”. Io, serio serio, controbatto: “ha bisogno dell’oroscopo?” e lui: “No, mia moglie deve partorire”. Al che gli rispondo: “allora deve andare in Ostetricia, non in astrologia”.
E’ frequente, invece, trovare delle perle all’interno di un discorso o di una spiegazione dei sintomi fatta da pazienti o parenti degli stessi, che a volte devi interpretare prima di giungere ad una conclusione. Ad esempio: “mia moglie è piuttosto estetica”; in realtà intendeva dire: stitica. Oppure: “mio marito è un tipo aritmetico” volendo intendere: aritmico. E ancora: “dottore, ho bisogno di fare la Tacca tutto il brodo” così riferendosi alla Tac total body. Un’altra: “mio figlio ha la diarrea, e gli ho dato anche i latticini” riferendosi ai fermenti lattici. La più difficile da interpretare: “dottore, devo fare gli esami del fegato della baby sitter”. Ammetto di essere rimasto perplesso e solo dopo una lunga discussione capii che doveva fare la Biopsia epatica. Una credente nella reincarnazione: “dottore, dovete farmi l’autopsia” intendendo la biopsia. Una donna: “dottore, mio marito non vuol parlarne perché se ne vergogna. Gliene parlo io. Lui ha una disfunzione del rettile” ed io sorridevo pensando al boa in letargo nei suoi pantaloni.
Una volta invece una distinta signora, commentando con alcuni parenti le qualità del reparto in cui veniva ricoverata sua mamma, la Geriatria, affermava soddisfatta: “ci sono medici e infermieri molto bravi in Gelateria”.
Insomma, l’emergenza è un mondo variegato, in cui la sofferenza, e il tuo lavoro per alleviarla, si combinano qualche volta anche con un sorriso, che comunque non fa mai male.
Una volta, ad esempio, si presenta in ambulatorio un paziente che comincia a parlare come un fiume in piena sciorinando, una dietro l’altra, una serie di perle e frasi senza senso, almeno per me che gli stavo di fronte. Divertito e addirittura affascinato dalla sua fantasia, lo fermo e, armatomi di carta e penna, gli chiedo di ripetere tutto quello che mi stava dicendo, con la scusa che dovevo prendere appunti sulla sua condizione. Il frutto di ciò fu un foglietto che ha girato per anni in casa mia, sparendo solo dopo che io ed i miei famigliari lo avevamo ormai mandato a memoria come un’ave Maria. Le sue parole furono alla lettera queste: “dottore, datsi che soffro di insufficienza incoronata, mi tira la vita (??!!) e ho pure una vena sospetta nel collo, e il dottore ha detto che mi dovete fare un doppio. Allora, dottore, se non me lo fate, che devo morire?” Lascio a voi la traduzione e mi limito a precisare che quando i pazienti vogliono eseguire a tutti i costi un esame o un ricovero, pur se affetti da patologie non gravi ed assolutamente non urgenti, pronunciano la formula magica riportata in fondo alla frase che, secondo loro, dovrebbe mettere in ambasce il medico che hanno di fronte.
Ma l’episodio più bello riguarda una coppia di anziani. Lui lamentava affanno a sforzi di media entità. La moglie, in veste di accompagnatrice e, probabilmente, anche in veste di comandante, si prendeva carico di spiegare a me il quadro clinico relativo al poveretto. Quando, per una rapida anamnesi, le chiesi le patologie pregresse o croniche da cui era affetto il marito, lei dapprima negò patologie rilevanti e poi, portando la mano al capo a significare una dimenticanza, aggiunse: “Uh, dotto’, è luere. A marit’m l’hann’ mess’ u vibrator’”. Rischiavo di sbottare in una gran risata, che fortunatamente riuscii a trattenere, e con fare serio ma anche un po’ ironico, le dissi: “un vibratore? E bravo! E dove gliel’hanno messo ‘sto vibratore?”, intendendo in quale sede anatomica. Lei, senza scomporsi, e quasi avessi fatto una domanda inutile, mi rispose: “Dotto’ e dov’ c’ l’hanna mett’?! Au terz’ pian’!” (dove altro possono averglielo messo se non al terzo piano?!) Ora sì che mi era tutto chiaro. Non si facevano delle strane pratiche erotiche al terzo piano, ma piuttosto, in quella sede era ubicato il reparto di Cardiologia, dove al paziente era stato impiantato un Pace-Maker.