Siamo Martina, 25 anni, ostetrica e laureanda in scienze infermieristiche e Iride, 27 anni, odontoiatra, operatrici sanitarie volontarie dell’associazione ONLUS “Missione Africa” che ha sede a Torremaggiore ed opera in alcuni villaggi del Benin e del Kenya. Tra gennaio e febbraio 2016 abbiamo fatto la nostra prima esperienza nel continente nero, cercando di portare, con la nostra attività, un piccolo aiuto e un conforto alla popolazione di un piccolo villaggio del nord del Benin, situato nella savana, nel quale convivono pacificamente ben 5 etnie. Sulla base della nostra esperienza vogliamo esprimere le nostre impressioni sulla condizione femminile in quella regione.
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti, sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” così recita il 1° articolo della dichiarazione universale dei diritti umani; peccato però che non sia valido per tutte le donne del mondo. L’abbiamo potuto constatare di persona durante la nostra missione in Benin.
Dita consumate, piegate dall’artrite; piedi forti e robusti con spessi calli; viso solcato da cicatrici e invecchiato precocemente a causa di anni di duro lavoro.… ecco l’immagine della donna africana. Vivono in una condizione difficile, discriminata e subalterna, sono riconosciute a livello sociale solo dopo aver dato alla luce un figlio. La donna è destinata solamente alla cura della casa e famiglia per cui la loro emancipazione è molto difficile.
In Occidente il lavoro significa spesso emancipazione, realizzazione personale, autonomia e rivendicazione dei propri diritti; mentre nei paesi africani il lavoro è sinonimo di sopravvivenza e necessità.
Le mani delle donne africane da sempre silenziosamente costruiscono l’Africa, ne strutturano le fondamenta della società, sono forza doppiamente produttiva come donna madre-nutrice e donna madre-produttrice, il loro ruolo è insostituibile. Basti pensare che tra il 70-80% della produzione di cibo in Africa è prodotto dalle donne, il 70% della forza lavoro nei campi è rappresentato dalle donne. Sono responsabili dell’approvvigionamento del 90% dell’acqua domestica. Abbiamo infatti potuto constatare coi nostri occhi la presenza costante, a tutte le ore del giorno, di donne nei pressi di pozzi o sorgenti prendere grandi quantità d’acqua e trasportarle sul capo anche percorrendo molti km a piedi. La maggior parte di queste donne magari erano in attesa e con figli in fasce, o ancora erano bambine. Sono donne che tanto avrebbero da lamentarsi e per tante cose avrebbero da piangere. Sono private infatti di molti diritti fondamentali dell’uomo che per noi donne occidentali sono scontati e banali. Parliamo del diritto all’istruzione, che è accessibile solo a una piccola percentuale di donne, quelle che possono permettersi di recarsi in città e assentarsi dal nucleo famigliare facendo mancare il proprio contributo lavorativo ed economico.
Diritto al lavoro: le donne rappresentano l’80% della forza lavoro, lavoro non inteso come realizzazione personale ma come necessità vitale per la sopravvivenza propria e della famiglia. La loro giornata lavorativa inizia all’alba e non termina finchè ogni membro della famiglia non sia stato nutrito e curato.
Diritto alla salute: come recita la dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 “ogni essere umano deve aver il diritto di vivere in condizioni tali da godere di buona salute e assistenza sanitaria”, purtroppo nemmeno questo diritto è garantito alla donna africana. Basti pensare che la maggior parte di loro non ha mai fatto una visita in gravidanza, non conosce la salute del proprio bambino, partorisce da sola e in luoghi malsani come la capanna, campi, riva del fiume… (in questa immagine possiamo osservare i primi bambini nati ad Abitanga durante la nostra missione, la mamma non sapeva nemmeno di aspettare dei gemelli fino al momento del parto).
Un altro episodio che ci ha colpito è stata la reazione di una madre alla nascita del figlio. Il bambino ha avuto dei problemi respiratori, abbiamo dovuto rianimarlo, ma lei nel frattempo non ha mostrato segni di preoccupazione, e quando finalmente il bimbo ha ripreso a respirare l’abbiamo poggiato sul suo seno: lei ha avuto un atteggiamento di rifiuto ; questo perché hanno una concezione diversa della maternità: i figli sono un dovere nei confronti del marito. Infatti le donne che non riescono ad avere figli vengono emarginate dalla società e considerate capro espiatorio per qualunque disgrazia avviene in famiglia e nel villaggio.
Le bambine dopo il menarca sono già considerate in età da marito, quindi donne. Sconvolgente era vedere ragazze di 11-12 anni già in attesa. Inoltre molte donne in Africa sono private del diritto dell’integrità fisica e sessuale, in molte etnie è ancora praticata la mutilazione genitale femminile.
Quei pochi servizi sanitari che vengono offerti sono accessibili solo previo pagamento di una tariffa, per cui è facile dedurre che sono pochi coloro che accedono ai servizi sanitari. Altro problema sanitario è che nella loro cultura è insita dapprima la fiducia riposta nelle cure date dallo stregone del villaggio e solo in seguito, in caso di estrema necessità o quando è troppo tardi, alle cure sanitarie. Tutto questo succede anche a causa della mancanza di un numero sufficiente di ospedali e servizi o alla difficoltà di raggiungerli.
Come se non bastasse, la donna africana è anche priva di un ruolo importante nella famiglia e società. Non ha voce in capitolo sulle decisioni importanti della propria vita e della famiglia, è sempre prima il padre, poi il marito, a prendere le decisioni senza tener conto del suo parere.
Nonostante tutto però possiamo affermare che l’immagine che abbiamo negli occhi e nel cuore è di una donna dalla pelle ambrata, dalla schiena dritta, avvolta in teli meravigliosamente colorati e dall’andatura così disinvolta da sembrare una modella che sfila, donna bellissima coraggiosa e forte che affronta le difficoltà quotidiane sempre col sorriso sulle labbra e mai un accenno di stanchezza o lamento. E’ una donna che non si arrende mai. La donna costituisce la vera anima della società africana!