mag 25, 2016 | Post by: admin Commenti disabilitati

IL CAMORRISTA REDENTO di Nicola Lembo

 

…Il getto espulso dalla carotide sale rapido verso l’alto e rivela il colore chiaro del sangue arterioso quando si sovrappone alla luce che si diffonde dal soffitto; nel ricadere distante dalla luce prende un colore rosso scuro, dallaspetto del sangue venoso, ma non mi inganna: questo maiale sacrificato all’altare della disciplina reggerà poche decine di secondi prima di morire dissanguato…
Il risveglio é lieve ma improvviso e questo mi lascia ben cosciente del sogno fatto; non é la prima volta che il mattino ne viene ammorbato, ma la frequenza di simili immagini oniriche non mi provoca né spavento né ansia, solo un vago malessere: non ho l’abitudine di temere segni premonitori, é solo un ricordo che riaffiora più spesso, ora che con maggiore insistenza mi attardo a pensare a quanto sia opportuno uscirne…
E comunque l’umore della giornata ne viene contagiato: fuori di casa mi accompagna una leggera malinconia, un senso indistinto di vacuità delle cose…di qualunque cosa… stato d’animo pericoloso, facile anticamera della depressione.

Negli uffici del supermercato Roberto tiene il solito conciliabolo mattutino; non ho lo spirito adatto a partecipare, non avrei il necessario entusiasmo per caricare i ragazzi: non si tratta di assegnare ruoli alle casse o fatiche in magazzino; il briefing tratta piuttosto di spostamenti di corrieri e di piazze da rifornire.
In corridoio aspettano altri sgherri, di quelli che giocheranno il campionato delle estorsioni, per uniformarsi allo stato di incazzatura di mio fratello e decidere di conseguenza se é giornata di blandizie o di minacce. La giornata poi proporrà il consueto ma vario assortimento di problemi e questioni da risolvere, con la quantità di diplomazia che le persone coinvolte meriteranno.

Aspetto che la nuvolaglia infame si disperda e raggiungo Roberto nell’ufficio.
- “France’, ti ho visto arrivare mezz’ora fa e ti presenti adesso: mi hai lasciato ad organizzare la giornata co’ sti fetenti senza aiutarmi! Dov’eri?
- “Ero a prendermi cura del supermercato; dovremmo parlarne seriamente, anche con papà. E’ una buona attività, ci rende bene, e del resto abbiamo una quantità di liquidi enorme da investire e potremmo comprarne decine di supermercati come questo.”
- “…ne vogliamo riparlare?”
- “Ne stiamo riparlando. Possiamo passare a produrre, a mettere su qualche fabbrichetta, qualcosa per la lavorazione agroalimentare, potremmo persino comprare dei terreni; abbiamo capitali che aspettano solo di essere investiti e che invece adesso, per essere ripuliti, perdono la metà del loro valore: vivremmo senza il rischio quotidiano di essere sparati, per i nostri figli ci sarebbe un futuro sereno, pacifico, vissuto senza guardarsi continuamente alle spalle, senza temere indagini ed intercettazioni, sbirri e giudici.”

- “Giusto, tutto giusto…soltanto…non siamo proprio nella situazione che descrivi tu.
Nessuno ci spara addosso, siamo in pace, rispettiamo zone e confini e siamo abbastanza forti perché nessuno invada le nostre competenze. Tieni sempre a mente che ci rispettano perché partecipiamo al gioco…se passiamo dall’altra parte, é un attimo a diventare vittime.”
- “Non voglio diventare vittima di nessuno, ma neanche mi sento di rimanere carnefice… e non siamo più nella barbarie che era qualche anno fa questo paese… capisco che sia papà a immaginare una giungla dove sopravvivi se eserciti furia violenta, ma noi sappiamo bene che i soldi possono essere un’arma altrettanto efficace…e di soldi ormai ne abbiamo tanti.”
- “…France’, ci penso, lo sai che ci penso…. e c’é un altra lusinga: la considerazione…il rispetto… e non parlo del rispetto mafioso, quello estorto con la paura o ricevuto come omaggio dalla teppa più infima del paese…”
- “Capisco…vorresti frequentare i salotti buoni…”
- “Io? Nooo, per me no…però non mi dispiacerebbe immaginare per i nostri figli una compagnia migliore degli sgherri che papà metteva a farci scuola…papà non capirebbe mai, però, lo sai.”
- “E allora non diciamoglielo.”
- “Scherzi?!?”
- “Intanto pensiamoci bene, organizziamoci…non diamogli pensieri, é anziano…”
- “E non ne avrà per molto, vuoi dire…”
- “Non volevo essere così cinico…”
- “Ma in ogni modo bisogna organizzarsi, e questa non é la peggiore soluzione possibile, per il futuro.”

Continuo a ricordare un po’ di questi momenti, importanti per la nostra famiglia, per la decisione di cambiare di abito passando ad un’economia legale, mentre aspetto seduto in corridoio l’arrivo del commissario. Finora abbiamo pensato che sia stata la decisione migliore, quella presa…finora.
Nessuna promozione sociale, per la nostra generazione almeno, siamo sempre i criminali dello spaccio all’ingrosso, anche se da qualche anno non ci raggiunge più alcuna spedizione intercontinentale; siamo ancora gli spaccaossa che in realtà non siamo mai stati, se non per interposta persona e comunque di interposte persone non ne abbiamo più.
Poi un giorno ti raggiunge l’ottusa attenzione della giustizia e ti tocca temere di venire stritolato: indagini partite chissà quanti anni fa, intercettazioni dimenticate, soldini che passavano di mano, ma adesso non viaggiano più; vecchia merda che viene a galla, insomma e succede allora che, come ci diceva papà, quando licenzi la banda non puoi suonare più…semmai capita che vieni suonato.

Il commissario Sepe percorre il corridoio che porta al suo studio con il passo energico del cinquantenne bene in forma, un passo fluido e rilassato per l’abitudine all’ambiente ed al percorso; accetta e ricambia saluti, si prepara all’ennesima giornata di un lavoro che un tempo gli imponeva terapie di antiulcera, ma che ora disimpegna da una posizione dirigenziale, di quelle che permettono di far scivolare fra i compiti dei sottoposti i fastidi più urticanti; oltre a ciò, la frequentazione cordiale di ogni tipo di ambiente cittadino (e ce ne sono che gli causavano persino panico) l’ha alquanto tranquillizzato riguardo al suo livello di sicurezza personale…così come alcuni di questi ambienti si sentono altrettanto rassicurati dalla sua timorosa benevolenza.
Quando il giovane uomo che occupa la sedia davanti al suo studio però alza la testa, al commissario vengono meno gli ultimi cinque anni di solidità emotiva e d’improvviso ne avverte altri dieci di peso sulle spalle, le quali si incurvano come la piega delle labbra che dal sorriso da splendida mattina dirigenziale scivola verso le apprensioni passate, fatte di timori quotidiani per la salute della sua famiglia e la sua stessa sopravvivenza fisica.
Lo sguardo di Francesco non riesce ad evitare l’espressione sarcastica di chi ti trapassa come un fascio di raggi X e legge nell’intimo i tuoi timori e si rende conto di essere almeno concausa delle tue apprensioni; eppure non vorrebbe, è in visita di cortesia, teme anzi che gli converrà apparire supplice piuttosto che arrogante, ma trovarsi di fronte lo sbirro, diverse volte minacciato, qualche volta garbatamente insultato…

Il commissario rallenta il passo per metterlo in riga coi suoi lenti pensieri e l’appuntato Cacioppa ne indovina le perplessità:
- ”Commissario, il signor Cellato ha chiesto di lei, ha voluto aspettare” con ciò  precisando che lui, l’appuntato, ci aveva pure provato a liberarsene.
- ”Va bene, va bene, Cacioppa; la prossima volta fai usare la sala d’aspetto.”
Il modesto esercizio di autorità gli consente comunque di superare l’imbarazzo e recuperare il ruolo di capo della bottega:
- ”Signor Cellato, non mi pare che sia stato convocato.”
- ”No, commissario, non ha più necessità di farmi convocare…sono qui mea sponte.”
- ”Attenda pure qui, già che c’è, fra un po’ la farò chiamare.”
Il passo ancora misurato porta il commissario oltre la soglia dello studio ma chiusa la porta l’apprensione prevale ed i passi restanti fatti verso il telefono sono più nervosi:
- ”Buongiorno procuratore, il commissario Sepe… grazie, grazie, riferirò, anche a lei, grazie…”
“Ho in anticamera uno dei fratelli Cellato, Francesco…no che non l’ho convocato io…no, non so di alcuna indagine… naturalmente è così, i Cellato sanno di essere indagati…certo, certo, non ufficialmente, ma vede, è anche peggio… i Cellato lo sanno ed io no… giusto, non lo nego, è giusto, il suo ufficio non è tenuto e no, non voglio sapere alcun particolare, ma mi deve perdonare, sto per ricevere Cellato, volevo soltanto sapere… manno’, nessun segreto istruttò… ma non voglio fare alcuna indà…ma si figuri, non mi sono mai permè…”
“signor procuratore, ho di là Cellato che è venuto a parlarmi, le pare strano che prima di riceverlo io voglia sapere di che cazzo è venuto a parlare? Non voglio nessun cazzo di risultato di nessuna cazzo di partita, ma posso sapere almeno di che cazzo di sport stiamo parlando? Ed è solo per non sembrare all’oscuro … ma giusto per… ma perché ho chiamato comincio a chiedermelo anch’io… finirà per dirmi tutto Cellato e potrei essere io allora…ah, non ha bisogno di sapere altro? C’è già un quadro chiaro? Meglio così…si, si…stia bene, stia bene, ossequi e prosequi ad annà…no, che offendere, un’interferenza…”
Subito dopo aver attaccato, sommessamente:
- ”Strunz…”
Poi, dall’interfono:
- ”Cacioppa, fai passare Cellato.”

L’umore del commissario schiuma irritazione per l’implicito sospetto nel diniego di spiegazioni da parte del procuratore e la causa dell’irritazione e a ben vedere anche della diffidenza della procura è davanti a lui, incarnata da un atletico e sulfureo quarantenne, ex rampollo di fu potente clan camorristico, già incubo di buona parte della squadra mobile ed ora felice imprenditore commerciale, con grande sollievo dell’intera squadra mobile di cui sopra.
L’irritazione e la consapevolezza che l’avversario ha ormai le polveri bagnate gli consentono finalmente di usare i modi che tante volte ha preferito soffocare, quindi trattiene l’ansia di chiedere spiegazioni ed aspetta.
- ”Commissario, non abbiamo mai sprecato molte parole fra noi.”
- ”Già: poche, sussurrate e pesanti… ed il ‹‹fra noi›› mi dispiace, francamente.”
- ”…non pretendo di riuscirle simpatico…”
- ”e quindi se ne risparmi la fatica; non ho alcuna idea del motivo della sua visita: vuole illuminarmi, per favore?”
- ”…Bene… anch’io sono contento di non doverci girare intorno: commissario, ho saputo che vi sono indagini su di noi; vecchie chiacchiere tornate a galla, accuse vaghe di gente invidiosa…”
- ”Chiacchiere ed invidia? Ed allora di cosa si preoccupa … ma non aveva detto di non volerci girare attorno? Allora sarò io a tagliare corto: non ne so niente; niente sacciu; ma che, dice a me? Io quel giorno non c’ero! Ma io mancu sacciu liggere!…”
- ”Divertente…mi fa lo scambio dei ruoli? Trova più facile scansarsi piuttosto che sparare?”
- ”Mi è venuto a noia fare domande; infatti io non le ho chiesto niente e niente vorrei sapere delle sue faccende…ed infatti niente so, non scherzavo…“
Qualche attimo di meditato silenzio, poi il commissario decide di rompere l’argine della diffidenza: non ha segreti da tradire (questa volta) e di fronte ha un ex delinquente, una volta tanto davvero ravveduto e redento; quindi, con tono che da severo ed astioso diventa comprensivo e confidenziale, riprende:
- “signor Cellato, durante quei cinque minuti in cui ha atteso ho chiamato la procura: ho trovato un muro; questo come lei ben capisce conferma che un’indagine seria c’è, altrimenti non avrei incontrato un rifiuto: se ti chiedo ‹‹c’é cosa?›› E mi rispondi ‹‹non posso parlarne›› significa che c’è cosa. Ma non posso aiutarla in altro modo.”
Cellato non ha dubbi sull’accento sincero del commissario e per la prima volta nella vicenda è preso da un certo scoramento: ha l’impressione che dall’altra parte la battaglia la stiano preparando per bene, proprio mentre (o proprio perché) il suo esercito ha ormai deposto le armi.
Potrebbe andarsene, non ha più niente da chiedere allo sbirro e mai avrebbe preso in considerazione la possibilità di sfogarsi e…confidarsi proprio con un commissario di polizia…
Dovrebbe andarsene, ma non ci riesce…forse è per questo che riveste della dignità della minaccia la sua incontinenza verbale:
-”Un peccato…davvero un peccato; e nessuno potrà dire che non ci abbiamo provato.
Avevamo in mano il paese; eravamo in grado di decidere chi non poteva permettersi di vivere e chi invece poteva vivere anche la vita degli altri. Ci ha allettato il miraggio della serenità borghese…e non ci è dispiaciuto infatti… ma tutto dipende dal prezzo che bisogna pagare; la nostra attività ha avuto un costo sociale, lo so, anche un costo economico…ma alla fine non è stata un’attività parassitaria, non del tutto, se fa nascere una nuova classe imprenditoriale dove prima c’era solo la terra da zappare. Altre attività criminose hanno costi sociali ma senza produrre, in tempi lunghi, un’evoluzione del territorio; pensi alla corruzione dei politici: sono soldi tolti agli investimenti, all’assistenza e sprecati per il lusso, che è genere di importazione; dalle nostre parti, se crea lavoro lo fa a latitudini diverse da questa… noi abbiamo creato un po’ di problemi, ma adesso stiamo creando lavoro… no, non ho più la faccia tosta di dire che quello di sgherro o di piccolo spacciatore è un lavoro, noi adesso stiamo restituendo al paese quello che abbiamo preso, andremmo aiutati…”
- ”mi sta parlando del solito indulto, insomma.”
- ”Certo; come in tutti i casi in cui si riconosce l’esistenza di una emergenza sociale; potrebbe essere rivolta, per il passato, a chi si mostra davvero ‹‹contrito, pentito e redento››…chi lo diceva…”
-”John Belushi?”
-”…no, non proprio…sempre Blues Brothers ma era la suora, la direttrice dell’orfanotrofio …
John Belushi diceva “la banda, dobbiamo riformare la banda…”