mag 25, 2016 | Post by: admin Commenti disabilitati

I CATTIVI MAESTRI DI UN POPOLO DA SOSTEGNO CIVILE di Alfredo Padalino

 

La grammatica italiana prescrive che articolo e aggettivo vanno concordati in genere e numero col nome cui si riferiscono. Si dice “una buona scuola” non “un buone scuola”. La sintassi politico-costituzionale dell’Occidente proibisce di accumulare troppo potere nelle mani di un solo soggetto; per questo, legislativo, esecutivo e giudiziario, insieme all’economico e al mediatico, restano poteri separati e in equilibrio fra di loro o, meglio, in separazione relativa e in equilibrio precario. Ciò che dobbiamo preservare a beneficio delle generazioni future: le regole da rispettare nel gioco della nostra democrazia moderna, liberale e socialmente orientata.

E tuttavia, quando a proposito del mega conflitto di interessi di Berlusconi, del suo impegno politico, ci sentiamo ripetere da vent’anni: “perché no, basta che funzioni”, occorre reagire ribattendo: perché è un errore, una sgrammaticatura costituzionale da segnare con la matitona rossa, come appunto scrivere “un buone scuola”, anche a prescindere dai poteri forti schierati o meno con lui. Se in una classe liceale, infatti, il figlio di un ricco notaio sbaglia la concordanza, il suo appartenere a una famiglia altolocata non lo tutela dal prendere un votaccio, tranne il caso in cui l’alunno sia dislessico o di un’altra categoria tutelata dalla normativa vigente.

Fuor di metafora, conoscenze, competenze e capacità dei maggiorenni circa i fondamenti giuridici della nostra Repubblica, avrebbero dovuto mantenere l’elettorato di Forza Italia su percentuali vicine a quelle del vecchio Partito socialista di Nenni; tutt’al più, insieme a Fini e a Bossi, il candidato premier del nuovo miracolo peninsulare avrebbe potuto fermarsi al 20%, proprio come il numero degli studenti finlandesi inseriti in attività didattiche di supporto e recupero, allievi del sistema scolastico statale più avanzato d’Europa.

Ma il popolo sovrano ha operato all’incontrario, avallando le mire egemoniche di un superuomo al comando nei mass media, il più facoltoso del Paese. Come valutare, pertanto, gli italiani di fronte alle urne: un popolo da sostegno politico o con pessimi pedagoghi civili? Chi sbaglia e non viene sanzionato, ripeterà all’infinito l’errore, credendosi nel giusto, senza maturare inoltre alcun senso di colpa. La responsabilità di un docente è pienamente riconosciuta all’interno della comunità educante chiamata scuola, ma in quella comunità più estesa detta Stato, chi risponde della crescita politico-culturale dei suoi abitanti?

Era compito, in realtà, degli intellettuali ammonire, redarguire chi andava perpetrando continui errori di applicazione della Grundnorm caratterizzante la civiltà giuridica dell’Occidente, strafalcioni costituzionali che in modo sotterraneo si andavano sedimentando durante l’epoca della Reaganomics, dalla morte drammatica di Berlinguer al deflagrare di Tangentopoli, con in mezzo la caduta del Muro berlinese e l’implosione dell’URSS. Proprio in quegli anni si assiste a una ritirata strategica dell’intellighenzia, che diventa già rotta disastrosa dopo il 1989. Ed è qui, a questo punto, che entra in scena con un coup de théâtre, il protagonista della nostra storia più recente, il Deus ex videomachina! L’ascesa del magnate di Arcore è frutto, pertanto, del tradimento dei chierici di ogni orientamento ideologico, anche di quelli collocati alla sinistra dello Scudocrociato, i più influenti nel secondo Novecento.

Rileggendo però in filigrana gli arabeschi speculativi degli orfani del Cremlino rosso, era lecito attendersi già da molto prima la ricerca ossessiva di un nuovo principe collettivo, incarnato nel leader maximo, non importa se in doppiopetto e cravatta Regimental. Il comunista ortodosso, infatti, guarda oltre Montesquieu e la sua tripartizione classica del potere, penetra l’impalcatura socialdemocratica del “trentennio glorioso”, puntando direttamente alla gestione forte, autoritaria, dei rapporti economici, sebbene ciò comporti l’approdo sull’Arcipelago Gulag.

Dalla sua prospettiva, in effetti, le conquiste rivoluzionarie della borghesia sono valide solo pro tempore, fintanto che non sopraggiunga lo Stato proletario destinato a sua volta a estinguersi, chissà come e quando, per far posto alla società dell’avvenire opulenta e senza diseguaglianze, dove ciascuno avrà secondo le sue capacità e i suoi bisogni. Non è un mistero, d’altronde, che le teste d’uovo leniniste difettino proprio di sana e robusta costituzione liberale, malgrado la curvatura liberaldemocratica consigliata strategicamente da Gramsci e tatticamente accolta da Togliatti.

La Carta fondamentale della Repubblica nata dalla Resistenza disegna un’ulteriore sovrastruttura, un testo programmatico da recitare come una sorta di canovaccio, nell’attesa di interpretarlo al momento opportuno in conformità alla vulgata del suggeritore moscovita. Da Jalta in poi l’Italia è stabilmente assegnata alla sfera d’influenza americana e così, l’attentato al Migliore nel luglio del ’48, bandisce sine die l’insurrezione armata come modalità di presa del potere da parte del Pci; tranne, significativamente, l’eventualità di un conflitto mondiale che trasformi la Guerra fra i due blocchi contrapposti da fredda in calda, con l’impiego di cellule militari di supporto all’Armata di liberazione sovietica in territorio nazionale, composte perlopiù da ex partigiani, la cosiddetta “Gladio Rossa”.

Esclusa questa ipotesi remota ma non inverosimile, la pratica ordinaria dei Pepponi nostrani diventa esercizio stilistico e strumentalmente raffinato delle procedure democratiche partorite dall’Assemblea costituente, che soltanto decenni dopo, con l’ultimo Berlinguer, saranno incorporate a fatica nel genoma della base per quanto sotto forma di corporativismo. Tanto è vero che ancora nel 1980 non pochi compagni elettori, giovani in gran parte, guardano con malcelata simpatia le azioni terroristiche delle B.R..

L’impulso sovversivo antisistema è latente nel comunista di professione ed esplicito in quello amatoriale, nonostante mezzo secolo di educazione legalitaria e di anticamera governativa. Falce e martello campeggiano sul logo identitario per lacerare e infrangere il velo di Maia della finzione giuridica che ha permesso solamente il passaggio all’economia mista e l’avvio del Welfare universale, senza alcuna speranza di spingersi oltre e in profondità, come pure auspicava Pasolini nei suoi articoli luterani del ‘75.

Per cui non sorprende più di tanto quel balzo repentino di un maître à penser come Lucio Colletti e di tanti altri meno dotati sul carroccio del Cavaliere nel 1994; il professore, un tempo organico allo stalinismo di Botteghe Oscure, opta adesso per l’avventura mediatica e politica di Berlusconi, giustificandola con mille sottigliezze teoretiche, perché l’imperativo storico surclassa il condizionale filosofico.

Chi non assolve, invece, dolosamente la missione di istruire le masse è purtroppo il propugnatore dei valori liberaldemocratici, il quale, prendendo a pretesto l’anticomunismo, diserta all’improvviso dall’esercito regolare e getta il proprio cervello nel frullatore dell’Italia democristiana appaltata a Bettino Craxi, facendosi sapido frappé di banalità pseudoliberiste da bere a Milano e altrove, mentre in realtà s’incrementano le Partecipazioni statali, l’assistenzialismo e, in modo esponenziale, il debito pubblico.

L’anticomunista militante è il vero artefice dell’insipienza politica generalizzata, l’intellettuale inetto, il chierico fellone, che si dilunga a disquisire delle magnifiche sorti e progressive o a ironizzare cinicamente sul carattere dei concittadini, nel solco tracciato da Longanesi, senza insegnare alle classi medie con i figli da mandare all’Università, il significato intimo dell’Illuminismo e del caos socioculturale che travolse entrambe le sponde atlantiche nel Settecento, da cui emerse un nuovo vocabolario politico-istituzionale, stracciato poi dai totalitarismi novecenteschi sotto la specie del bolscevismo e del nazifascismo.

Indro Montanelli e Marco Pannella sono l’emblema di questo fallimento liberale di destra e di sinistra, malgrado il ravvedimento tardivo, post-factum, del grande giornalista toscano, dopo la discesa in campo del suo editore proteiforme, laddove il carisma del leader radicale si appanna con l’agonia della Prima Repubblica, fino a trasformarsi in delirio politico-elettorale quando sigla l’accordo con il neonato Polo delle Libertà e del Buon Governo. Chissà se in cuor suo Indro abbia mai considerato tutto questo una nemesi della storia che gli si ritorceva contro. Possiamo esser certi, invece, che Giacinto detto Marco non ha mai tentennato di fronte alle proprie contraddizioni, degno padre spirituale di tanti spregiudicati partoriti dal tubo catodico e oggi dal Web. Il principio anarcoide di Paul Feyerabend, “anything goes”, tutto fa brodo, funziona politicamente come un boomerang ideologico scagliato nella notte senza luna in cui ogni vacca è nera: può rompere la testa bovina di chiunque, in primis, dello stesso lanciatore libertario. L’ignavia così diffusa neutralizza la percezione del fenomeno berlusconiano come qualcosa di eccezionale e pernicioso, anche se conforme alle regole democratiche.

Se è così, crocifiggiamo allora l’intellighenzia, offriamole dunque la cicuta! In tal modo però la convertiremo in una martire postuma, assolvendo così la miriade di Barabba che vivono piuttosto nelle dinamiche complesse della società odierna.

In effetti c’è un’altra spiegazione più inquietante che farebbe del presente discorso un volo pindarico anacronistico: che il mondo intero si vada berlusconizzando, e che il caso italiano sia solo un’anticipazione strapaesana e folkloristica della cavalcata trionfale nel futuro del “mostro mite”, il neocapitalismo globale, sobrio, efficace, senza barocchismi di sorta. I padroni del lessico economico-finanziario di oggi stanno forse elaborando altri manuali di grammatica politica cui dovremmo sottostare ovunque senza colpo ferire? Forse un giorno pronunciare “un buone scuola” sarà la norma, sgradevole all’orecchio dei rari puristi datati, ma non a quello poco sofisticato dei giovani. Col tempo anche gli anziani saranno indotti ad assentire alla neolingua, e come il protagonista del capolavoro di Orwell è surrettiziamente obbligato ad amare il Grande Fratello, così gli ultimi resistenti dell’avvenire parleranno senza problemi comunicativi un idioma disarticolato ed estraneo, quello funzionale al Nuovo Potere: “un buone scuola”!

Scenari fantascientifici, distopici? Scenari!