mag 25, 2016 | Post by: admin Commenti disabilitati

ERA MEGLIO MORIRE DA PICCOLI di Michele Colucci

 

Tutti i peana che si sono levati in onore di Marco Pannella in occasione della sua scomparsa suonano alquanto falsi, ove solo si pensi al senso di fastidio con cui negli ultimi tempi il caro estinto veniva accolto nelle poche occasioni pubbliche, in prevalenza mediatiche, in cui riusciva ancora nell’ardua impresa di farsi invitare.

Ebbene, confessiamolo: l’ultimo Pannella era diventato un rompiscatole. Tutti i difetti che in giovane età gli venivano perdonati, surclassati dall’elevata statura morale e culturale del personaggio, in vecchiaia non solo si sono acuiti, ma hanno superato i limiti della sopportazione umana. L’egocentrismo sfrenato, la logorrea, il culto della personalità spinto fino agli estremi della venerazione, che nel corso della sua lunghissima carriera politica ha fatto terra bruciata attorno a lui,  impedendo che potesse crescere un successore accanto a lui, fatta eccezione per la sacerdotessa Emma Bonino. Una personalità tanto forte da cannibalizzare non solo tutti i rampolli che ingenuamente pensavano di candidarsi alla sua successione – da Spadaccia ad Adele Faccio, da Giovanni Negri a Taradash, fino all’ultimo epigono abortito di Capezzone – ma addirittura lo stesso partito radicale, che con un simile Ras al comando non è mai cresciuto, ed anzi, dopo la bufala del partito transnazionale e tante altre scelte incomprensibili, rischia seriamente di estinguersi.

La deriva finale del Pannella senile – con la scellerata scelta dell’alleanza col centrodestra di Berlusconi che fa il paio con l’entusiasmo per la rivoluzione Khomeinista su tutte – ha rovinato tutto quanto di buono aveva fatto il Pannella migliore, quello degli anni giovanili e della maturità, il combattente generoso e altruista. E non era poco: dal divorzio, all’aborto, alla legalizzazione delle droghe leggere, dalle provocatorie candidature in parlamento di personaggi scomodi come Enzo Tortora, Toni Negri e Ilona Staller, tutti puntualmente eletti, alle battaglie per l’abolizione del finanziamento ai partiti, per l’umanizzazione delle carceri, le unioni civili, i diritti dei gay fino all’eutanasia ed al testamento biologico e tante altre. Battaglie spesso condotte con interminabili scioperi della fame e della sete, così duri da mettere a repentaglio la sua salute.

Molti gli obiettivi raggiunti e tanti ancora da raggiungere, segno che le sue idee erano sempre avanti; si può tranquillamente affermare che gran parte delle conquiste sociali della nostra collettività, che oggi forse ci appaiono scontate, senza di lui sarebbero arrivate molto più tardi o dovremmo ancora conquistarcele.

Per evitare questo sfacelo avrebbe dovuto quanto meno fare come Fidel Castro, che alla comparsa dei primi segni di cedimento, dopo la figuraccia pubblica della caduta a faccia in avanti, è scomparso dalla scena politica ritirandosi a vita privata. Ma lui era Pannella, l’egocentrico, l’istrione, quello che irrideva i potenti vomitandogli addosso tutte le loro magagne. Non era da lui.

E inutile nasconderlo: per passare alla storia, per diventare icone immortali bisogna morire giovani, nel pieno vigore delle forze, lasciando il dubbio nei posteri che se non fosse sopraggiunta sorella morte così prematuramente, chissà quante altre meraviglie avrebbe si sarebbero potute tirar fuori. E’ la stessa regola salutista secondo cui bisogna alzarsi da tavola con ancora un leggero appetito, non aspettare di rotolare dalla sedia satolli come otri. A meno che non si è Umberto Eco o Ken Loach, fresco trionfatore a Cannes nonostante le ottante primavere, peraltro portate magnificamente.

Ma ve lo immaginate voi un Che Guevara ottantenne e imbolsito, strafatto di rhum e puzzolente di sigaro, gioire per la cessazione dell’embargo americano a Cuba? Altro che Hasta la Victoria Siempre. Ve le sareste sognate magliette e bandiere con la sua effige. E lo stesso può dirsi per tanti altri simboli, come i “maledetti” Jim Morrison, Janis Joplin e Kurt Cobain e poi ancora Jimi Hendrix e John Lennon per restare in ambito musicale, Marilyn Monroe nel cinema, Jean Michel Basquiat e Keit Haring nell’arte, il nostro Andrea Pazienza nel fumetto e potrei andare avanti all’infinito. Ebbene, ve li immaginereste vecchi e mezzi rimbambiti? Non perderebbero tutto il loro fascino che ne ha fatto dei simboli immortali?

Se pure Pannella fosse scomparso dalla scene nel fulgore della sua carriera politica, per prima cosa, noi ci saremmo risparmiati i suoi indigesti sproloqui, quasi sempre incomprensibili e inconcludenti; in compenso, però, in giro per il mondo circolerebbe la sua icona, e la sua figura sarebbe da tempo venerata come quella di un profeta, come l’esempio del politico onesto e incorruttibile cui ispirarsi, in tempi di disillusione e di diffusione tra la gente di una sfrenata antipolitica.

Invece dovrà accontentarsi degli ipocriti coccodrilli – come ha acutamente notato la sacerdotessa Bonino – che tra qualche settimana nessuno ricorderà più, mentre a noi piace ricordarlo nell’unico modo intelligente e originale, tra tutte le trasmissioni andate in onda nei vari media, col tormentone della registrazione di un suo famoso sfogo, mandato in onda in loop a Un Giorno Da Pecora su Radio Due: “CHE PALLE! CHE PALLE! CHE PALLE!”.