mag 12, 2017 | Post by: admin Commenti disabilitati

I BEATLES, MINA’ E JIMMY: GLI OTTANTACINQUE ANNI DI UN FENOMENO di Alfredo Padalino

 

Confesso di appartenere a quella strana comunità religiosa che adora incondizionatamente i Beatles e celebra l’8 dicembre come una data mesta e funerea, in cui far rivivere il memoriale di un sacrificio umano, l’assassinio di John Lennon, consumato per la redenzione degli idolatri veneratori di suoni e immagini di cartapesta, i falsi miti d’oggi. E tuttavia, al diffondersi della notizia, pochi rimasero indifferenti, perfino i cinici reagirono con un commento di circostanza, anche chi non aveva mai apprezzato il quartetto inglese e, in particolare, il suo esponente più provocatorio e politicamente impegnato. Gli osservatori più accorti notarono che la nuova tragedia americana era stata anticipata dal film “Nashville” di Robert Altman e la sensazione generale, nell’immediato, fu di partecipare al lutto collettivo e generazionale per la fine di un’utopia, quella sognata negli anni ’60, gettando d’un tratto il nostro mondo nello sconforto più abissale.

L’immacolata fanciullezza s’inerpicava sull’erta salita dell’adolescenza. Era una nuova tappa iniziatica, il secondo battesimo ricevuto il giorno dopo il martirio dell’autore di “Imagine”: lo scroscio di onde elettromagnetiche materializzava sul piccolo schermo la morte di una rock star, avvenuta con quattro colpi di pistola nell’androne del Dakota Hotel di New York. Padrino della cerimonia, lo speaker del telegiornale Rai.

Fase suprema e terminale dell’epoca analogica, senza Personal Computer IBM né Compact Disk, quando il telefonino, la CNN e internet erano ancora fantatecnologia, l’inviato della carta stampata o il cronista radiotelevisivo fungevano da formidabili mediatori comunicativi e di approfondimento dell’attualità politica, sociale, di costume. Insieme a loro, pertanto, si poteva viaggiare nel tempo e nello spazio, riga dopo riga, parola dopo parola, seguirne il racconto accattivante e puntellato di riferimenti intertestuali, talvolta ostici da afferrare per un ragazzino di provincia con poco bagaglio culturale al seguito; per questo si finiva normalmente in edicola ad acquistare riviste specializzate oppure, in via del tutto eccezionale, all’autogrill, durante le gite scolastiche, a scorgere fra le pile di libri, un saggio biografico in edizione economica dalla copertina irresistibile, per nutrirsene avidamente già sulla via del ritorno.

Alcuni vivono per raccontare, altri raccontano per vivere; una terza categoria concilia entrambe le attività: sono i brillanti, geniali, professionisti dell’intervista, giornalisti e scrittori, che illuminano con la propria personalità le ombre della storia contemporanea. Sono gli Erodoto e i Tucidide dell’era Pop come Gianni Minà, un ircocervo dalla narrativa mite e risatina intermittente e disarmante, in grado di scoperchiare il vaso di Pandora della sua aneddotica infinita, spargendo ovunque nell’etere universi paralleli che in lui s’intrecciano con naturalezza: vite di uomini illustri e di gente comune, artisti di fama rionale e celebrità planetarie.

L’anno di svolta è il 1965, quando la cultura musicale italiana si lascia catturare finalmente dal nuovo sound britannico: in febbraio s’inaugura il Piper Club di Roma, a giugno è di scena il tour dei Fab Four che tocca Milano, Genova e la capitale; infine, in autunno, il debutto della trasmissione radiofonica “Bandiera Gialla”, una piccola creatura mediatica dall’impatto rivoluzionario, ideata da Luciano Rispoli e Gianni Boncompagni, e condotta da quest’ultimo insieme a Renzo Arbore. Secondo la Hit Parade di Lelio Luttazzi, che registra settimanalmente i singoli più venduti del Belpaese, il disco beat meglio piazzato dell’anno è un brano dei Fantastici 4 di Liverpool, “Help”, che tuttavia si ferma al 32° posto. Più fortuna riscuotono, invece, i Beatles sul mercato degli album, dove possono vantare ben due microsolchi nelle prime tre posizioni alle spalle di una immarcescibile Mina. Ma a contare, in ogni senso, è ancora il formato 45 giri, che ha visto superare il milione di copie nel 1961 con “Legata a un granello di sabbia” di Nico Fidenco, dieci volte la migliore prestazione di un Long Playing. Nonostante la Beatlesmania dilaghi in Europa ormai da un paio d’anni e l’invasione anglosassone dell’America stia proseguendo in modo travolgente fin dal febbraio del ’64, il pubblico giovanile di casa nostra attenderà il 1966 per appropriarsi integralmente del ritmo d’Oltremanica e incoronare i neo baronetti della Swinging London, portandoli alle stelle con l’album “Help”, mentre il singolo “Michelle” conquista un lusinghiero ottavo posto.

Nel frattempo Jimmy, al secolo Luigi Origene Soffrano, classe 1932, ha già alle spalle dieci film con Luciano Salce, Sergio Corbucci e Lucio Fulci. Leggenda narra che Fellini lo volesse nella sua ultima opera “IL POZZO E LA LUNA”, nel ruolo che poi venne affidato a Paolo Villaggio. Per quelle strane dicerie sull’untore che si diffondono senza logica nel mondo dello spettacolo, e che hanno distrutto la vita di Mia Martini, al contrario, il caratterista originario di Lucera in Capitanata assurge prestissimo a talismano da botteghino, un portafortuna in carne e ossa per cineasti e patron del calcio.

Una sera d’estate del ’65 Gianni Minà accompagna con la Fiat 600 del fratello, nientemeno che John Lennon e Paul McCartney nei locali notturni di Roma. Dopo aver seminato le scalmanate fans del Quartetto zazzeruto, concentrate soprattutto al Piper, si dirige verso un Night club esclusivo dove suona il crooner di Campobasso, Fred Bongusto, e si esibisce l’eccentrico Jimmy il Fenomeno. Appena scesi dall’auto e giunti all’ingresso del locale, quella faccia da schiaffi si getta al collo della coppia di Liverpool: a quanto ne sappiamo, l’unico lucerino ad aver abbracciato la band più importante di sempre! Era lì al posto giusto al momento giusto. Soltanto per questo, meriterebbe di beneficiare della legge Bacchelli! Parola di compaesano e beatlesiano!